I combustibili sintetici e i biocombustibili possono rappresentare una soluzione temporanea in attesa dell’avvento su larga scala delle vetture elettriche (EV).
I problemi ambientali legati all’eccessivo inquinamento delle aree urbane ad alta densità di traffico sono una costante preoccupazione per via dell’elevato tasso di mortalità ed incidenza di malattie cardiovascolari e dell’apparato respiratorio. La massiccia motorizzazione privata è lungi dall’esaurirsi soprattutto nei paesi emergenti. Allo scopo di contrastarne gli effetti nocivi, la sostituzione dei veicoli alimentati da motori termici con veicoli totalmente elettrici, rappresenta una soluzione percorribile e necessaria. A tale scopo, molti paesi inclusi alcuni della Comunità Europea si sono dati come obbiettivo quello di mettere al bando i motori tradizionali a partire dal 2035. Ma l’industria automobilistica è davvero in grado di gestire una tale transizione verso l’elettrico?
Le auto elettriche fanno bene all’ambiente semplicemente perché non emettono i famigerati gas ad effetto serra come il biossido di carbonio (anidride carbonica) o sostanze altamente nocive come idrocarburi incombusti, particolato ed ossidi di azoto. Inoltre, i motori elettrici che assicurano la trazione agli EV sono molto più efficienti di quelli a combustione interna, riuscendo a convertire oltre l’85% dell’energia elettrica delle batterie in energia meccanica. Tale valore va raffrontato col 40% di rendimento dei motori termici. Ma considerando le perdite aggiuntive legate a diversi fattori non presenti in un EV (combustione incompleta, attriti tra le parti mobili come pistoni, bielle e valvole, sistema di raffreddamento, perdite allo scarico, etc.), solo il 25% dell’energia generata può essere utilizzata per la propulsione delle auto convenzionali a benzina e diesel.
Caricando le batterie di un EV utilizzando fonti rinnovabili, viene assicurata sicuramente una mobilità sostenibile. Tuttavia, vanno considerate le cosiddette emissioni indirette nella produzione dei veicoli elettrici, legate sostanzialmente al processo di produzione delle batterie. Tale processo è infatti altamente energivoro ed inoltre l’approvvigionamento di materiali quali cobalto, nickel e litio, elementi essenziali nella fabbricazione di batterie ad ioni di litio, è problematico. La maggior parte delle miniere da cui si estraggono si trova infatti in paesi ad elevato rischio geopolitico. Va anche menzionato che la fabbricazione delle batterie implica l’utilizzo di grandi quantità d’acqua. Il riciclo delle stesse batterie è un altro problema da affrontare, soprattutto in vista di una diffusione capillare delle auto elettriche che circoleranno in futuro.
Negli ultimi anni sono stati proposti carburanti alternativi a quelli fossili, quindi non prodotti nelle attuali raffinerie che utilizzano il petrolio. Tali carburanti possono essere sia sintetici (detti anche e-fuels) sia biocarburanti. I carburanti a base sintetica si ottengono da sorgenti rinnovabili e possono quindi abbattere drasticamente le emissioni di CO2 associate ai motori a combustione interna. Il processo di fabbricazione dei carburanti sintetici si basa sull’idrogeno estratto attraverso elettrolisi dell’acqua, che poi viene combinato con biossido di carbonio, CO2, per sintetizzare il carburante. Il CO2 utilizzato nel processo può essere ricavato dall’aria o da fonti quali formazioni geologiche del sottosuolo dove il gas è stato preventivamente stoccato per “cattura”. In tale procedimento, il biossido di carbonio viene prima compresso ad alta pressione e convertito in fase liquida, per poi essere iniettato in formazioni rocciose porose presenti in siti geologici opportuni. Alternativamente, si possono usare processi industriali. Il combustibile risultante è carbon-neutral e può essere impiegato per alimentare i motori termici convenzionali. La produzione di tali carburanti, pur non essendo stata avviata su scala industriale, sta suscitando un grande interesse da parte di vari paesi europei, Germania in testa, per ovvi motivi.
I biocarburanti, per contro, sono prodotti da biomasse, cioè da materie organiche che si presentano come scarti lignocellulosici provenienti da foreste, oppure da alghe o anche per lavorazione ulteriore di biocarburanti come l’etanolo. Le fasi di produzione prevedono la raccolta delle biomasse che vengono poi trasportate in opportuni siti per il trattamento successivo che prevede la trasformazione in carburante per fermentazione o distillazione. Anche i biocarburanti possono alimentare i veicoli a motore termico al posto di quelli fossili.
Esistono diversi tipi di biocarburanti quali il biodiesel, bioetanolo e biogas. Il biodiesel viene prodotto da oli vegetali o da grassi animali, mentre il bioetanolo è sintetizzato a partire dal mais e dalla canna da zucchero. Può anche essere prodotto da piante autoctone come il “panicum virgatum” che prospera nel Nord America. Il biogas si ottiene invece da rifiuti organici come scarti alimentari, letame stallatico e da liquidi reflui utilizzando la digestione anaerobica (assenza di ossigeno) operata da batteri specifici con l’ausilio di particolari enzimi, a seconda del materiale di partenza.
La produzione di biocarburanti ha ovviamente pro e contro. Da un lato, i biocarburanti possono ridurre l’impatto delle emissioni di gas a effetto serra ed aiutare a limitare la dipendenza da quelli fossili. È pur vero, comunque, che la loro produzione su larga scala comporta un grave rischio di deforestazione, inquinamento delle acque e altri problemi ambientali.
Figura 1 – Dida
Ogni tipo di carburante è caratterizzato dalla sua densità energetica che può essere espressa da due diverse grandezze. Il contenuto energetico e il potere calorifico si possono esprimere entrambi in joule per unità di massa o volume o per mole. La differenza tra le due consiste nel fatto che il potere calorifico è uguale al calore prodotto da una combustione completa. Il potere calorifico si distingue, a sua volta, in potere calorifico superiore (gross calorific value, GCV) ed inferiore (net calorific value, NCV). Si parla di GCV se si considera tutta l’energia prodotta dal combustibile o di NCV, invece, se si sottrae dall’energia totale prodotta quella necessaria per l’evaporazione dell’acqua ottenuta dalla combustione. Vediamo brevemente come si misura la quantità di calore H generata dalla combustione. Una quantità nota di carburante viene “bruciata” a 0 °C and 1 bar di pressione e il calore emesso da tale reazione viene fatto assorbire da una certa quantità d’acqua, di cui è nota la massa, in un calorimetro. Misurando la temperatura iniziale e finale e quindi determinando il salto termico DT, l’energia rilasciata sotto forma di calore sarà:
H = ΔT mCp
dove:
H = energia assorbita (in J);
ΔT = salto termico (in °C);
m = massa dell’acqua (in g);
Cp = calore specifico (4.18 J/g °C per l’acqua).
Il valore di energia misurato si divide per il numero di grammi di carburante bruciato ed il risultato dà il contenuto energetico (in J/g). La tabella 1 mostra i poteri calorifici di alcuni carburanti sia gassosi sia liquidi.
Una combustione è generalmente una reazione chimica esotermica in cui un composto e un ossidante vengono fatti reagire per produrre calore e nuovi prodotti. La reazione normalmente è rapida e produce calore e fiamma. La forma generale di una reazione di combustione può essere rappresentata da una reazione tra un idrocarburo e ossigeno con la produzione di CO2 e acqua più altri composti: carburante + O2 –> CO2 + H2O + sottoprodotti. Tra i sottoprodotti vanno annoverati il monossido di carbonio, CO, e il particolato se la combustione si svolge in presenza di una quantità di ossigeno insufficiente. Vengono emessi anche ossidi di azoto, NOx, quando l’idrogeno nell’aria reagisce con l’ossigeno ad alta temperatura e biossido di zolfo, SO2 quando il combustibile è ricco in zolfo.
Affinché si raggiunga la neutralità “carbonica” di un carburante di origine sintetica, l’elettricità impiegata deve provenire da fonti rinnovabili (eolico, geotermico, solare e idroelettrico).
Tabella 1 – Valori di poteri calorifici di alcuni carburanti.
Ovviamente le stesse considerazioni andrebbero fatte per i veicoli elettrici le cui batterie devono essere fabbricate con elettricità prodotta dalle stesse fonti rinnovabili così come le colonnine di ricarica che andrebbero alimentate non certo da centrali a carbone o a olio combustibile. La stessa neutralità ecologica è possibile solo bilanciando il CO2 emesso ai tubi di scarico dei veicoli alimentati con carburanti non fossili con il CO2 di origine antropica prelevato dall’atmosfera per produrre i carburanti sintetici. Inoltre, fatto non trascurabile, i carburanti alternativi sono compatibili con la rete di distribuzione di benzina e diesel esistente senza che ciò pregiudichi le prestazioni dei motori tradizionali. Ma quali sono gli aspetti negativi dei carburanti sostitutivi? Come detto, solo sotto certe strette condizioni i combustibili sintetici emettono zero emissioni nette. Inoltre, i costi di produzione sono sensibilmente più elevati rispetto ai combustibili di origine fossile e potrebbero essere affetti da un’offerta ben inferiore alla domanda.
Anche i biocarburanti presentano inconvenienti, e cioè un’alterazione del ciclo di semina e raccolta nelle piantagioni per garantire una monocoltura e in più richiedono un uso eccessivo di acqua il che è un serio problema soprattutto nelle zone aride. Si aggiunga anche la necessità di utilizzare fertilizzanti ad alto contenuto di azoto per migliorare la produttività con conseguente squilibrio nella composizione chimica del suolo. Non va poi sottovalutato il rischio di sottrarre i terreni agricoli alla produzione di cibo per alimentazione umana.
Ci sono anche delle differenze nella progettazione dei motori termici funzionanti con biocarburanti. Per esempio, l’etanolo proveniente dal mais, ha una densità più elevata della benzina (vedi tabella precedente) pertanto gli iniettori devono essere di maggiori dimensioni per adattarli ad un flusso di carburante confrontabile con quello di un motore a benzina. Da notare anche che i combustibili contenenti alcol come l’etanolo sono più corrosivi e possono causare un’usura maggiore di alcune parti del motore. Una volta in funzione, il motore a etanolo, anche per via del diverso ciclo termodinamico, necessita anche di una rifasatura dell’accensione per migliorare l’efficienza.
Se si riesce a produrre i carburanti sintetici e i biocarburanti con energia pulita e se il loro impiego è regolato da una normativa favorevole, possiamo concludere che il loro impiego può rappresentare una valida alternativa per mitigare i rischi di riscaldamento globale legati ad un uso “irresponsabile” dei combustibili fossili. La rete di distribuzione e la progettazione dei motori termici in fin dei conti non implicano cambiamenti drastici. C’è anche da rimarcare che il prolungamento della vita dei motori a combustione interna pur con l’adozione di carburanti ecologici, rappresenta un vantaggio indiscutibile per i costruttori di auto convenzionali, i quali possono meglio attrezzarsi per la conversione all’elettrico e, perché no, non soccombere alla spietata concorrenza dei costruttori cinesi di EV. Non meno preoccupazione desta la possibile perdita di posti di lavoro nell’industria dell’auto che evidentemente per essere convertiti a nuove mansioni richiedono tempo ed investimenti.
Ad ogni modo, l’auto elettrica non ha rivali sul medio e lungo termine. Certamente il tasso di sostituzione dei veicoli tradizionali con modelli elettrici dipende da fattori quali la produzione delle batterie e dal miglioramento della loro chimica nonché dalla costruzione di un’adeguata rete di colonnine di ricarica che una volta per tutte elimini la cosiddetta ansia da pieno (o come direbbero gli anglofoni, range anxiety) che ancora oggi affligge potenziali acquirenti di un’auto elettrica come un dilemma insanabile. Le stesse stazioni di ricarica andrebbero alimentate con energia proveniente da fonti rinnovabili. In tale scenario dinamico i carburanti a basso impatto ambientale possono ancora svolgere un ruolo determinante assicurando una transizione più graduale (e meno costosa) verso la mobilità elettrica, sfruttando anche i vantaggi di piattaforme ibride di tipo mild, full e plug-in (1). Evidentemente in tale contesto la tecnologia dell’elettrico e quella delle auto a motore termico possono coesistere ancora per un po’.
Filippo Di Giovanni Giornalista tecnico